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Architetto Alessandro Zoppini
27.09.2013

Passato, presente e futuro degli stadi in Italia

Intervista all'architetto Alessandro Zoppini, che ripercorre per noi passato, presente e futuro degli stadi in Italia

Categorie: sport, news sport, stadi e arene,

Intervista di Alice Spiga ad Arch. Alessandro Zoppini

Lo stadio del futuro? Sostenibile dal punto di vista economico e sociale, oggetto di riqualificazione urbana, che possa avere una gestione che ne giustifichi l’investimento; un luogo polivalente utilizzabile 25 ore al giorno, 8 giorni la settimana, 13 mesi all’anno.

Questa la convinzione espressa dall'architetto Alessandro Zoppini, la cui esperienza lavorativa ha spaziato dallo studio Arup Associates al Renzo Piano Building Workshop. Dal 1995 è socio dello Studio Zoppini Associati, del quale è responsabile del settore progettazione.

L'architetto condivide con noi la sua concezione degli stadi italiani, regalandoci un exscursus molto interessante della situazione passata e attuale dell'Italia in questo settore, mettendolo a confronto con la situazione all'estero, e di come gli stadi italiani dovrebbe, in definitiva, diventare.

1) Architetto Zoppini, che cosa è cambiato nel settore degli stadi in Italia dagli anni ’90 ad oggi?

Dal mio punto di vista, dagli anni ‘90 ad oggi, in Italia non è cambiato niente perché, in sostanza, non si è costruito niente. A parte lo Stadio della Juventus, non è stato fatto altro, quindi non è cambiato nulla.

All’estero, invece, sono stati fatti passi da gigante. Quando mi laureai nel ‘91 e andai a lavorare da ARUP, a torto o a ragione gli stadi costruiti per Italia ‘90 erano visti come punti di riferimento, tant'è vero che feci un viaggio in giro per l’Italia, insieme al partner che mi assunse ad Arup, per visionare alcuni stadi. Questo nel 1992.

Prima di Italia ’90, gli stadi erano composti da pendii in erba dove la gente si accalcava, poi si è passati alle gradonate, dove la gente stava in piedi (parterre), poi ai posti seduti non numerati, fino ad arrivare all’imperativo degli stadi di Italia 90, che dovevano avere posti coperti, seduti e numerati.

Erano delle strutture pagate dai Comuni, per cui c’era Pantalone che pagava. Erano “oggetti” con tutti i posti coperti, numerati, che mancavano di polivalenza e polifunzionalità d’uso e gestionale. La gente andava lì 5 minuti prima della partita, perché avendo il posto numerato non doveva arrivare più due ore prima per prendere i posti migliori, usciva 5 minuti dopo e la vita dello stadio durava 90 minuti più 5 prima e 5 dopo, ogni settima nelle città dove c’erano due squadre, e ogni 15 giorni nelle città dove ce n’era una sola.

Per il resto era completamente abbandonato. A volte c’era qualche concerto, ma erano eventi isolati che di sicuro non potevano fare la differenza. Ed è così ancora adesso. Anche perché questi stadi non erano stati progettati per poter ospitare alcun tipo di evento che non fosse stato il calcio.

2) Quindi, secondo lei quali sono le principali problematiche degli stadi in Italia?

Il primo problema è che le squadre di calcio vedono lo stadio come un costo, non come una risorsa, e in alcuni casi hanno anche ragione. Fino a che non cambierà questa mentalità, per cui si preferisce comprare il giocatore di richiamo invece che investire nella riqualificazione dell’impianto, non credo cambierà nulla.

L’altro problema sono gli immobiliaristi, che vedono lo stadio come un onore di urbanizzazione invece che come un’opera di riqualificazione. Il più delle volte, la logica è: “devo fare il centro commerciale, mi costa 100 milioni, di questi ne do 20 milioni alla squadra di calcio e loro possono farne quello che vogliono, però io non ne voglio sapere più nulla".

Altro problema è che non abbiamo leggi. Ma non è la causa di tutti i mali. Gli stadi si riescono a costruire anche senza leggi. Il problema fondamentale è che mancano delle procedure trasparenti di assegnazione degli incarichi, non ci sono regole che valorizzano la meritocrazia e se non si hanno delle procedure trasparenti, chiaramente la qualità è subordinata da altri “giochi”.

                       

Un esempio di progetto a cura dello Studio Zoppini Associati, quello per i l nuovo Stadio Filadelfia a Torino .
L'area d'intervento viene riqualificata con 2 nuovi campi UEFA per l'allenamento, il museo del Torino Calcio, un'area fitness, una zona commerciale e un edificio multipiano destinato a commercio, uffici e foresteria/residenza.


3) In questo senso, che cosa dovrebbe cambiare in Italia in questo settore?

Ricordo che feci un viaggio insieme a mio padre, nell’85. Andammo a vedere i principali stadi coperti in America. E gli stadi americani, essendo tutti privati, dovevano generare profitto, altrimenti chiudevano. Ricordo Dallas, Huston, Indianapolis, Saint Louis, erano i cosiddetti Dome. Quindi si parla di quanto? Quasi trent’anni fa.

E mio padre è una vita intera che parla di gestione intelligente degli stadi. Nel primo editoriale, che mio padre fece nel ‘76 della rivista Impianti, già si parlava di aspetti gestionali degli impianti sportivi, dove la gestione doveva essere considerata come primo punto nella fase pre-progettuale, quindi facendo un piano di fattibilità gestionale, per capire (ancora prima di costruirli) come gli impianti sportivi potevano contare su un ritorno gestionale.

Gli stadi dovevano diventare degli oggetti polivalenti utilizzabili 25 ore al giorno, 8 giorni la settimana, 13 mesi all’anno. Provoca mio padre, ma non era lontano dalla soluzione del problema. Dal 76 ad oggi sono passati quasi 40 anni, e in questo senso nulla è stato fatto in Italia. E adesso noi siamo indietro.

Questo settore non ha infatti ancora compreso che lo stadio può essere un oggetto di riqualificazione urbana, un oggetto che può, se non altro, avere una gestione che ne giustifichi l’investimento. Non dico in positivo, perché ritornare dell’investimento è complesso, ma almeno non rimetterci.

Gli stadi dovrebbero essere sostenibili dal punto di vista economico, ma anche sociale. Per tornare all’esempio degli stadi americani negli anni 80, essi erano certo degli “oggetti” che funzionavano, ma erano solo delle macchine per fare soldi, non davano nulla alla comunità locale se non dello spettacolo a pagamento.

Erano come dei grossi centri commerciali che soddisfano necessità di consumo, ma non sociali. Invece gli stadi dovrebbero essere dei poli urbani utilizzabili da tutta la città, affinché facciano da volano a tutte le attività commerciali. Questo dovrebbero essere gli stadi del futuro.

Per approfondire

Questa intervista è parte integrante di un articolo dedicato alla situazione attuale degli stadi in Italia, pubblicato nel numero 13, luglio-settembre, di Sport Industry Magazine .

 
 
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