Marketing sportivo

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08.09.2014

I tifosi abbandonano gli stadi. Quali sono le cause? E le soluzioni?

Intervista al giornalista sportivo Marcel Vulpis, direttore di Sporteconomy

Categorie: sport, sport news, stadi e arene,

di Alice Spiga

Sono ormai diversi anni che gli stadi italiani di calcio si trovano vittime di un fenomeno sempre più evidente: l'abbandono da parte dei tifosi. Gli ultimi dati, riportati dall'ANSA, non sono di certo incoraggianti: "la Germania raggiunge una media dell'80% di riempimento degli stadi. In Italia, invece, siamo scesi al 40%".

Le motivazioni? Tante, tantissime. Prima tra tutte, il fatto che i nostri stadi siano vecchi e cadano a pezzi. La seconda è che sono percepiti come luoghi violenti, non sicuri, dove in pochi porterebbero tutta la famiglia.

Poi, sono luoghi isolati. In molti casi non c'è nulla attorno allo stadio che invogli a frequentarli al di fuori dei momenti delle partite. Senza contare che la fruizione dei contenuti sportivi oggi è possibile attraverso così tanti mezzi che lo stadio ha inevitabilmente perduto il suo ruolo predominante.

E infine, come non citare tra le cause dell'abbandono la poco (o nulla) applicazione di strategie di marketing sportivo per riportare i tifosi allo stadio, per farli sentire protagonisti di quello che è, a tutti gli effetti, uno spettacolo sportivo?

Spinti dalla volontà di capire perché gli stadi italiani siano ogni giorno più vuoti e dal desiderio di trovare soluzioni per risolvere questo problema (ricordiamo che il calcio produce in Italia, in termini di Pil, cifre paragonabili a quelle della Fiat e che ha margini di crescita inespressi fuori da ogni immaginazione), quest'estate ci siamo dedicati a intervistare una serie di personalità appartenenti al settore del calcio.

Quindi: esponenti delle varie leghe calcistiche, opinion leader, giornalisti, esperti in marketing sportivo che operano per le federazioni calcistiche; insomma, un tentativo di coinvolgere questo settore e di cercare di trovare (insieme) delle soluzioni.

Di seguito, proponiamo la prima intervista, quella fatta a Marcel Vulpis, direttore di Sporteconomy.it , giornalista sportivo, da tutta la vita nel settore del calcio. Marcel è anche il primo ad aver risposto alle nostre domande e quindi, per "giustizia editoriale", anche il primo a venire pubblicato.
  

Intervista a Marcel Vulpis, direttore di Sporteconomy.it
   
Perché in Italia gli stadi sono sempre più vuoti?

«Come ha detto correttamente il presidente della Lega calcio, Maurizio Beretta, in occasione di un convegno su questo tema di alcuni anni fa: "Ma se i bagni degli stadi italiani sono come quelli del Congo belga di che cosa ci meravigliamo?”.

Se consideriamo che questo j'accuse non arriva da parte di un giornalista, ma del numero uno della cabina di regia del football tricolore, capiamo chiaramente quanto la situazione dei nostri stadi sia grave.

Sono impianti vecchi, ma la cosa ancora più grave è che quando abbiamo avuto l'opportunità di gestire un mondiale (nel 1990) abbiamo fatto costruire stadi che erano già vecchi il giorno dell'inaugurazione.

Pensate anche solo alla presenza delle piste di atletica, come se gli stadi avessero dovuto nei giorni feriali ospitare continuamente meeting di atletica leggera. A Roma, allo stadio Olimpico, dove a parte il Golden Gala non esiste alcun altro evento di livello, ogni domenica i tifosi di Lazio e Roma devono subire questa assurdità della pista.

L'altro problema è che il 99% degli impianti italiani è di proprietà delle municipalità. I club di calcio, quale che sia la serie, possono solo prendere in consegna l'impianto poche ore prima dell'evento e pagare mese per mese il canone di gestione al sindaco del territorio.

Oggi i club, mi si passi la provocazione, sono "ostaggi" delle municipalità. Qual è quel sindaco che farà salti di gioia per far costruire un nuovo impianto quando di fatto perderebbe il suo principale cliente, oltre a dover rilanciare la fruizione dell'impianto di proprietà?

Non posso poi non citare il fattore "violenza". Il calcio rimane ostaggio di alcune frange violente, che possono fare qualsiasi cosa, anche perché le curve sono vere e proprie aree extra-territoriali. Zone franche dove può succedere di tutto.

Ultimo, ma non per importanza è il tema del "pricing". Se è vero che questi stadi non sono confortevoli, non sono sicuri, inospitali, perché allora sono così cari? Una risposta è semplice, ma difficilmente accettabile per molti club.

Il tifoso medio, bello o brutto che sia lo stadio, deve pagare a prescindere, perché i presidenti hanno capito che c'è uno zoccolo duro che accetta tutto: vittoria o sconfitta, massima serie o retrocessione, prezzo basso o alto. Perché il calcio è una fede e non si discute!»
   

Quale soluzione proporresti?

«Come direbbe Beppe Grillo, e credetemi grillino non sono: tutti a casa! La dirigenza sportiva italiana dagli anni '90 ad oggi non ha generato valore nel nostro calcio. L'unica cosa che ha fatto è stata quella di occuparsi di portare calciatori di grido, di solito stranieri, nel nostro campionato. Poi, è chiaro, qualche eccezione esiste, ma sempre di eccezione parliamo.

Risultato? Abbiamo speso valanghe di denaro, che tra l'altro non sono rimaste neppure nel nostro paese. Abbiamo fatto ricchi gli altri, impoverendo noi stessi.

Non c'è mai stata una vera progettualità, non c'è stato un presidente che abbia previsto come sarebbe diventato il calcio del Terzo Millennio. Non dico un sognatore, ma nemmeno uno che avesse la capacità di progettare a medio-lungo termine.

Le conseguenze di questa mancanza di progettualità sono, da una parte, stadi vecchi, fatiscenti, inadatti alle esigenze del calcio moderno e oltremodo cari; dall'altra, contratti che continuano con stranieri spesso di basso profilo, un merchandising che non decolla, un ticketing asfittico, violenze continue (quindi le famiglie restano giustamente a casa) e perfino la burla di dover ricomprare le proprie library (le immagini di archivio della storia delle società) pur essendo i detentori dei diritti.

Ci vuole, in definitiva, una profonda rilettura culturale e sociale del fenomeno calcio, che mi chiedo sempre di più se sia ancora una cultura, o piuttosto una "sub-cultura"».

Per approfondire

Appuntamento al 22 settembre con l'intervista a Mario Macalli, Presidente della Lega Pro . Per non perdervi nemmeno un aggiornamento iscrivetevi alla nostra newsletter, oppure seguiteci sui Social Network.

  

 
 
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