Gestione impianti sportivi

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25.11.2020

Le regole per lo sport che ci attendono nel 2021

Alla chiusura forzata degli impianti si somma un quadro normativo che non fornisce certezze sulle regole che gli operatori dovranno rispettare dal prossimo gennaio e i conseguenti costi. Proviamo a prevedere lo scenario analizzando le bozze di provvedimenti che potrebbero anche essere, come ci si augura, modificati in modo sostanziale.

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Di Guido Martinelli

        

Alla chiusura forzata degli impianti si somma un quadro normativo che non fornisce certezze sulle regole che gli operatori dovranno rispettare dal prossimo gennaio e i conseguenti costi. Proviamo a prevedere lo scenario analizzando le bozze di provvedimenti che potrebbero anche essere, come ci si augura, modificati in modo sostanziale.

La situazione che sta vivendo lo sport nazionale in questo tardo autunno del 2020 non ha precedenti. L’attività è, di fatto, bloccata e, al momento, non si è in grado di prevedere se e in che condizioni potrà riaprire. Nel frattempo i costi permangono e si palesa il rischio di dover restituire le quote relative alla chiusura del mese di novembre per il quale il Governo non ha adottato ancora alcun provvedimento sostitutivo (vedi voucher come quelli della scorsa primavera).

A questa situazione, sicuramente complessa, si associa, con un potenziale effetto detonante, un quadro normativo che non consente di avere alcuna certezza su quali saranno le regole (e quindi i costi conseguenti) che i gestori dei centri sportivi e delle piscine dovranno applicare dal prossimo primo gennaio.

Proverò a delineare uno scenario chiarendo che si tratta, al momento in cui vengono redatte queste note, di bozze di provvedimenti che, pertanto, potrebbero anche essere modificati in modo anche sostanziali nei prossimi giorni (e auspico che ciò accada).

              

La bozza di legge di bilancio 2021

Partiamo dalla bozza di legge di bilancio 2021, approvata dal Consiglio dei Ministri che ha in corso il suo cammino parlamentare in attesa della sua approvazione definitiva. È sempre un azzardo esaminare provvedimenti non definitivi, ma il suo contenuto “potenzialmente esplosivo” e la loro possibile, anche se non auspicata, entrata in vigore il prossimo primo gennaio impongono il loro esame.

“Al fine di garantire la sostenibilità della riforma del lavoro sportivo in fase di prima applicazione” è istituito un fondo di 50 milioni di euro per il 2021 e analogo importo per il 2022 “per finanziare nei predetti limiti l’esonero anche parziale dal versamento dei contributi previdenziali a carico delle (…) associazioni e società sportive dilettantistiche” con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail relativamente ai rapporti di lavoro sportivo instaurati con atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici, direttori sportivi, preparatori atletici e direttori di gara.

Qualche considerazione si impone. Va sottolineato con curiosità come si preveda un finanziamento per un’agevolazione su una norma che deve essere ancora approvata e non sappiamo se e quando lo sarà. E, comunque, sulla base del testo delle ultime bozze del decreto di riforma del lavoro sportivo che sono circolate, entrerà comunque in vigore dal primo settembre 2021.

La seconda è che si parla di esonero anche parziale. Questo significa che, fermo l’ammontare stanziato (e in assenza di criteri di assegnazione), nessuno ha certezze di quale quota rimarrà a carico del datore impedendo qualsiasi programmazione in merito. Torna poi una classificazione (contenuta anche nella bozza di decreto di riforma dello sport) di soggetti beneficiari priva di caratteri oggettivi. Cosa fa il “direttore sportivo”? Arriveremo all’assurdo che se assumessimo una segretaria per la reception del centro sportivo dovremmo pagare i contributi pieni, mentre se la qualificassimo come “direttore sportivo” (tanto dove è previsto che cosa debba fare un direttore sportivo?!) potremmo godere dell’agevolazione contributiva? Non è chiaro se questo abbattimento sia anche sulla quota di contributi posti a carico dello sportivo o solo su quella che deve versare il datore di lavoro.

Altrettanto non appare chiaro se, già dal primo gennaio (ove permanesse l’attuale testo e non fosse ancora in vigore il decreto delegato di riforma del lavoro sportivo) ne potranno comunque godere gli istruttori che già nel 2020 avevano in essere un ordinario rapporto di lavoro subordinato o autonomo (con partita Iva). Apparentemente, almeno dal primo settembre, dovrebbe valere anche per loro. Ma se così dovesse essere, i conti sulla copertura sarebbero sballati in partenza in quanto non tengono assolutamente conto di quelli che già lavoravano nello sport da dipendenti o da professionisti.

Da tenere presente, poi, che qui non si fa alcuna menzione dei c.d. “amministrativi-gestionali”, ossia quelle figure di “segreteria” all’interno delle quali aumenta molto il rischio di ritrovare i presupposti del rapporto di lavoro subordinato. A fronte di questa apparente scelta verso l’uscita dalla disciplina fiscale sui compensi sportivi di cui all’art. 67 primo comma lett. m) del Tuir, in apparente controtendenza si ritrova un’altra norma che, invece, estende alla società Sport e salute SpA il diritto di poter corrispondere i compensi disciplinati dalla norma appena citata.

Ma la parte su cui si sta maggiormente discutendo appare essere, a seguito della procedura di infrazione n. 2008/2010 attivata dalla UE, la riscrittura delle agevolazioni Iva per gli enti non profit e, più specificatamente, per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona. Infatti, per detti enti viene soppressa l’agevolazione oggi prevista dal comma quarto dell’art. 4 del d.p.r. 633/72 che prevede che non rientri nel campo di applicazione dell’Iva il corrispettivo specifico versato da associati e/o tesserati, così come la cessione di pubblicazioni rivolte prevalentemente agli associati e le medesime attività vengono fatte rientrare nell’ambito delle prestazioni esente ex art. 10 del medesimo decreto “a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette a Iva”.

La novità appare di grande importanza in quanto imporrà praticamente a tutte le associazioni sportive dilettantistiche, che svolgono prestazioni di servizi nei confronti degli associati e/o dei tesserati, di aprire comunque una propria posizione Iva e valutare quale sia l’inquadramento che i medesimi proventi potranno avere ai fini dei redditi. Per le sportive che rimarranno tra le poche realtà a poterla ancora applicare successivamente alla definitiva entrata in vigore della riforma del terzo settore dovrebbero poter rientrare nella defiscalizzazione di cui all’art. 148 co. 3 del Tuir, ma, appunto, “dovrebbero”. Andrà chiarito che incidenza avranno sui plafond della legge n. 398/91 in quanto, se e ove si uscisse da detto regime ci sarà anche l’obbligo della certificazione fiscale del corrispettivo riscosso. Il tutto, ammesso e non concesso che si debba o si possa riaprire a far data dal prossimo primo gennaio. Ma questo significherà, sicuramente, l’ingresso nell’area degli enti c.d. commerciali, sia per quelli che rimarranno fuori dal terzo settore, sia per quelli che invece procederanno all’iscrizione al runts (con la possibile eccezione delle associazioni di promozione sociale se ed in quanto la UE ne approverà il regime di maggior favore per loro previsto).

Rimane anche un’incognita (per usare un eufemismo) l’inciso oggi presente “a condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all’Iva”. La circostanza che sullo stesso mercato operano anche soggetti commerciali (nei confronti dei quali si applica l’aliquota iva ordinaria) rischia di far perdere l’agevolazione da iva per le asd e ssd? Sul punto necessita urgente chiarezza. Resta anche da verificare come questo “impatterà” sulle società sportive dilettantistiche. Si potrà continuare ad interpretare il primo comma dell’art. 90 della legge 289/02 (laddove si prevede che alle SSD si applichino le norme previste per le ASD) come norma che consenta alle SSD di ritenere applicabile anche a loro la nuova esenzione da Iva? La domanda appare pertinente e necessita di una precisa presa di posizione da parte della Amministrazione finanziaria.

Va precisato che la nuova disciplina vincola a un’interpretazione molto riduttiva della nuova fattispecie. L’inserimento dell’inciso “strettamente connesse” con la pratica dello sport riduce ulteriormente il panel della tipologia di proventi che potranno rientrare in tale agevolazione (pensiamo, ad esempio, agli armadietti negli spogliatoi). Vengono poi trasferiti all’art. 10 i vincoli e i limiti già oggi previsti dagli ultimi commi dell’art. 4 sui principi a cui debbono uniformarsi le associazioni per godere di tale esenzione mantenendo sostanzialmente inalterato il loro contenuto.

In conclusione viene previsto che si applichino anche ai fini iva le disposizioni sulla perdita della qualifica di ente non commerciale previste ai fini delle imposte sui redditi.

         

La riforma dello sport

Com’è ormai già noto, il “famoso” testo unico sullo sport è stato suddiviso in sei decreti, su cinque dei quali, a quanto si legge, si è trovata l’intesa politica, sull’ultimo, quello ordinamentale, si sta ancora discutendo. Non abbiamo alcuna certezza, pertanto, sia sui contenuti sia sulla tempistica di entrata in vigore.

Sulla base dei testi al momento disponibili sono diversi gli aspetti da approfondire, ma avremo modo di farlo quando il contenuto sarà ufficiale. Ad oggi, sono due i rilievi che vorrei evidenziare.

Il primo che non si capisce il perché non si potranno più costituire cooperative sportive dilettantistiche. Quale sia la ratio di questa scelta è a mio avviso totalmente inspiegabile. Dall’altra l’inserimento delle società di persone dove anche per loro non sarà facile verificare il rispetto dell’assenza dello scopo di lucro trattandosi di società dove il patrimonio di questa si confonde con il patrimonio dei singoli soci. L’altro aspetto sul quale vorrei porre l’attenzione è la “non scelta” sul lavoro sportivo dilettantistico. Affermare che questo possa costituire rapporto di lavoro subordinato, autonomo, di collaborazione coordinata e continuativa o occasionale significa lasciare le cose esattamente come sono oggi. Può essere qualsiasi cosa. E, come tale, oggetti di contenzioso. Se viene confermato che un atleta professionista per presunzione di legge sarà da inquadrare come subordinato, come si pensa di dover inquadrare un atleta dilettante che fa le stesse cose? Prevedere un contratto di apprendistato per i giovani atleti cosa significa se non dopo doverli assumere? E come sempre, il problema resta il medesimo: assoluta confusione sulle regole applicabili e nessuna verifica sulla sostenibilità del sistema.

Spero di raccontarvi cose diverse prossimamente.

 
 
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