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18.05.2012

So.ge.se e la gestione degli impianti sportivi: pregi e difetti del modello bolognese

Intervista a Gino Santi e Armando Ballotta, presidente e direttore amministrativo di So.ge.se. Di Lucia Dallavalle.

Categorie: piscine, gestione piscine, impianti sportivi

È una realtà fortemente radicata nel territorio, e in particolare nel mondo delle piscine, quella della società cooperativa So.ge.se, costituita nel ’74.

Ad essa si devono le prime esperienze di complementarietà tra pubblico e privato nell’amministrazione degli impianti comunali sul territorio bolognese: un modello di gestione che finora è riuscito a contemperare l’esigenza delle amministrazioni di limitare i costi, affidando a terzi la conduzione operativa (degli impianti nonché dell’organizzazione e promozione delle attività), e quella di preservare la gestione “politica” del servizio sportivo da rendere ai cittadini e alle società sportive.

Anche questo modello, però, sotto la scure della politica di contenimento delle spese attuata dai comuni, sta lentamente cambiando, in cerca di nuovo punti di equilibrio. È quanto emerge dalle parole del presidente di So.ge.se, Gino Santi, e del direttore amministrativo, Armando Ballotta, con i quali, in un’intervista a tutto tondo, abbiamo ripercorso le tappe evolutive della società di gestione e del sistema sportivo bolognese, esaminando i punti di forza e di debolezza del modello emiliano di gestione degli impianti sportivi pubblici.

Le interviste, qui riportate in forma integrale, fanno parte di un articolo sui modelli di affidamento in gestione delle strutture sportive comunali, pubblicato su Sport Industry Magazine n°8.

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L'intervista

Per descrivere la vostra realtà, iniziamo dalla storia e dai numeri.
Ballotta: “La Coop So.ge.se è partita nel 1974 con la gestione di 4 impianti sportivi (a San Giovanni, Pianoro, San Lazzaro e Sasso Marconi). In quest’area, già quarant’anni anni fa – quindi con molto anticipo rispetto ad altre situazioni – le amministrazioni erano orientate all’affidamento a terzi dell’impiantistica sportiva. Nel ‘90 abbiamo acquisito la gestione di tre delle cinque piscine comunali di Bologna e ci siamo allargati a comuni cresciuti molto in quegli anni (Ozzano, Molinella e Castel San Pietro). Oggi, So.ge.se gestisce complessivamente 17 strutture, di cui 11 impianti sportivi comunali, tra Bologna e provincia, ad andamento annuale, 4 solo estivi (a Budrio, a Granarolo, ai Gessi e a Monterenzio) e 2 piscine private estive. Abbiamo 65 soci dipendenti, a tempo indeterminato, ai quali si aggiunge un numero uguale di assunzioni trimestrali per la stagione estiva. Il fatturato 2011 è intorno ai 6 milioni e mezzo di euro.”

Può fornire qualche dato sull’affluenza registrata nelle strutture a voi affidate in gestione?
Ballotta: “Premetto che la nostra gestione si caratterizza per la non partecipazione alle attività corsistiche, che vengono sviluppate dalle società sportive in modo assolutamente autonomo. Tendenzialmente, noi mettiamo il “contenitore” (l’impianto) nelle condizioni di ricevere le persone. Conosciamo il numero complessivo delle presenze nelle nostre piscine, ma “governiamo” direttamente solo quelle del pubblico utente individuale e dei partecipanti alle attività di fitness in acqua: queste sono state 600.000 nel 2011, di cui un buon 10% legato al fitness in acqua (hydrospin, treadmill e walker). L’attività associativa, svolta prevalentemente negli orari pomeridiani, registra invece 400.000 presenze: sommando questo dato a quello della frequenza che gestiamo direttamente arriviamo a un milione di presenze, con una media empirica di 35 persone in vasca per ogni ora di apertura, nelle piscine coperte.”

C’è qualche dato che merita una particolare riflessione?
Ballotta: “Uno dei dati più interessanti è quello delle 12.000 presenze che noi abbiamo identificato nel “canale del mattino”, persone che nuotano nelle nostre piscine nell’orario di apertura compreso tra le sei e le ott o: un dato clamoroso. Questa è un’esperienza che abbiamo cominciato a sviluppare tre-quattro anni fa, perché arrivavano sempre più richieste in tal senso. Così abbiamo anticipato l’apertura di alcuni impianti, per qualche giorno alla settimana (quattro, in certe strutture, come a San Lazzaro, due in altre, come a Ozzano e allo Stadio di Bologna). Un altro elemento da notare è che l’incremento nelle ore mattutine non ha sottratto presenze alle altre fasce orarie: è un contenitore che si è riempito. Anche questo dato è indicativo di come la popolazione di Bologna e provincia sia fortemente motivata a nuoversi e a fare attività. Tra i frequentatori del mattino iniziamo ad avere persino giovani in età scolare, che non sono nuotatori agonisti, quindi con motivazioni non legate alle competizioni.”

Un milone di presenze nel 2011: qual è stato l’incremento rispetto al passato?
Santi: “Rispetto a dieci anni fa, c’è stato un aumento clamoroso, quasi del 60 per cento, grazie al quale il costo/contatto tende a diminuire sensibilmente, nonostante il costo di gestione complessivo (consumi, materia prima, personale, tasse) tenda ad aumentare.”

Come avete raggiunto questo risultato?
Santi: “Aumentare l’affluenza è uno dei nostri impegni quotidiani, che assolviamo cercando di intercettare i cambiamenti del mondo del lavoro, della società e della cultura dello sport e dello stare bene. Un esempio. Nell’ambito della sanità, la notevole riduzione delle risorse ha portato all’abbandono di una politica, per cui tutto quello che era riabilitazione e prevenzione attraverso il movimento veniva svolto tramite la struttura ospedaliera e ha fatto scoprire le possibilità di convenzionamento con realtà che prima si occupavano solo di attività sportiva classica. Da un dato negativo è risultata una conseguenza positiva, perché si riversano negli impianti figure che altrimenti non sarebbero mai venute. Noi, per esempio, stiamo attivando convenzioni con l’associazione dei diabetici e con quella dei malati di sclerosi multipla. Svolgiamo una funzione alternativa al pubblico, occupandoci di quello che vent’anni fa era gestito direttamente dalla mano pubblica.”

Piscina comunale di Budrio (BO), solo estiva, con acquascivolo. Gestita da So.ge.se

Qual è il ruolo di So.ge.se all'interno delle convenzioni attivate con le amministrazioni comunali?
Santi: “Le convenzioni ci affidano la sola gestione tecnica degli impianti. Tutto il resto è governato in sede politica: il sindaco decide chi frequenta le strutture, per quale attività e a quali tariffe, così da poter contare sul governo diciamo “politico” di un’attività che opera nell’ambito del sociale. È il Comune a decidere se e quando predisporre attività agonistica, attività per anziani, per le scuole, per i disabili; chi gestisce tecnicamente deve accettare le scelte dell’amministazione comunale, anche se le esigenze del bilancio porterebbero invece il gestore a collocare le categorie economicamente deboli negli spazi residuali e quelle "forti" negli spazi più interessanti. Questo è il sistema che sta reggendo le nostre convenzioni sul territorio di Bologna e provincia, un sistema che, sempre per ragioni di sostenibilità economica, è però in via di “aggiustamento”.”

Su quale meccanismo si fonda questo sistema?
Santi: “Queste convenzioni si reggono sul principio che il Comune è il primo cliente della struttura perché, per poter continuare a governare tutta la macchina dal punto di vista delle scelte politiche, l’amministrazione assegna un contributo annuale, a ripiano del fatto che non lascia libertà di manovra sulle decisioni fondamentali.”
Ballotta: “Se il comune decide tutto, non ho la possibilità di sviluppare azioni di marketing nel modo in cui ritengo opportuno, di attuare una politica tariffaria, di fare una politica di clientela. Vivo in un ambiente abbastanza compresso dal punto di vista delle decisioni. Queste rigidità determinano una tendenziale perdita sul piano economico, perché i costi non possono essere ripianati, e di conseguenza interviene il contributo comunale. Tanto più questo peso decisionale si allenta, tanto più l’impianto viene portato a un livello di costo zero anche per l’amministrazione. A livello nazionale, ci sono strutture dove si paga un canone al comune, perché quanto più è libero il gestore nell’avvicinarsi al piano finanziario e governarlo, tanto più disporrà di risorse che permettano di invertire il percorso: dare invece di ricevere. Questo fa parte dell’impostazione politica che il comune dà nel momento in cui imposta la gara d’appalto. Potrebbe darsi un’alternativa: liberalizzazione totale, tutto in mano al gestore. Però, noi la vediamo un po’ come una rinuncia dell’amministrazione ad esercitare un ruolo per il quale viene votata ed eletta.”

Presidente Santi, lei ha detto che questo sistema è “in via di aggiustamento”. Sotto quali aspetti?
Santi: “Siccome adesso gli enti locali cominciano ad avere grosse difficoltà economiche, questa possibilità di contribuzione diventa sempre più bassa, di conseguenza il bilancio del gestore “piange”; allora gradualmente si assiste a degli “smottamenti”, dei cedimenti su quelle tre voci (chi frequenta, per quale attività, a quali tariffe). Una delle attività che più rischia di soffrire di questa situazione è quella agonistica, la peggiore di tutte dal punto di vista economico, perché non produce niente e costa. Il sistema inizia dunque a lasciare, a chi gestisce, una maggiore libertà, ancora molto relativa, ma che comincia a svilupparsi progressivamente. Questo “smottamento” si manifesta sotto forme diverse. Per esempio richiedere al gestore di svolgere lavori di manutenzione straordinaria. Normalmente queste convenzioni prevedono che la manutenzione ordinara sia a carico del gestore, mentre quella straordinaria e la messa a norma siano a carico della proprietà, cioè dell’amministazione comunale. Adesso, però, ci troviamo sempre più spesso in questa situazione: se vogliamo proseguire l’attività negli impianti dove sono necessari degli interventi, visto che la proprietà pubblica ha difficoltà economiche, dobbiamo essere noi a realizzarli, se no siamo obbligati a chiudere. È un gioco ormai perverso. Perciò gli amministratori devono iniziare a concedere degli spazi di manovra, altrimenti la gestione è tecnicamente ed economicamente impossibile."
Ballotta: “Si pensi che a Bologna, per una convenzione della durata di 14 anni, ci siamo dovuti caricare di un milione e 860 mila euro di interventi perché era richiesto nella gara. E nell’ultima cui abbiamo partecipato, per una convenzione di 4 anni, veniva assegnato un punteggio al livello di manutenzione straordinaria proposto a carico del gestore: 320.000 euro in 4 anni.”

Piscina coperta di Zola Predosa (BO), a 6 corsie da 25 metri, più vasca per bambini. Gestita da So.ge.se

Nelle strutture comunali dove voi vi occupate della gestione impiantistica , risultano coinvolte anche le società e associazioni che organizzano l’attività sportiva?
Ballotta: “In linea generale, si va nella direzione di un maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione delle società sportive, nel senso che vengono chiamate a investire parte delle loro risorse. Prima, i campi di azione erano molto rigidi: le società svolgevano l’attività promozionale, sportiva e agonistica; il gestore si occupava di gestire il contenitore e il pubblico; il comune assumeva il controllo politico di tutte le scelte. Adesso la debolezza del comparto politico fa sì che gli altri due soggetti scendano in campo.”

Questo modello di gestione degli impianti pubblici , definito dei “tre soggetti” (la società che si occupa della gestione degli impianti, le associazioni/società che organizzano, sviluppano e promuovono le attività sportive e il Comune come "presenza politica"), è una peculiarità emiliana?
Ballotta: “Questo è il modello che ha fotografato meglio le necessità e le caratteristiche del nostro territorio: è il prodotto – e noi lo vediamo molto bene a Bologna – della storicità del sistema sportivo. Quando veniamo chiamati a fare consulenze in giro per l’Italia, ci accorgiamo che la crescita delle strutture va di pari passo con quella del movimento sportivo, di quei soggetti che sono poi chiamati ad occupare l’impianto. Per cui non si creano delle situazioni di eslcusione. Invece, qui ci siamo trovati, da sempre, un territorio ricco di associazionismo sportivo e, in rapporto, povero di strutture impiantistiche. Quindi affidare un impianto a un unico soggetto perché ne sviluppasse e gestisse l’attività, avrebbe significato, a suo tempo, scegliere tra le associazioni sportive presenti, creando situazioni di esclusione. Da qui è nato anche il modello del comune che decide politicamente tutto; altrimenti la strada più facile sarebbbe stata dire, per esempio, “cara So.ge.se, io ti affido l’impianto, non voglio spendere una lira, fai tutto tu”. La realtà associativa, i risultati agonistici, le situazioni erano talmente forti, consolidate e meritevoli che nessuno avrebbe potuto non tenerne conto. Inoltre, da un punto di vista politico, trattandosi di strutture pubbliche, noi siamo dell’avviso che questo sia il modello più corretto, perché è impensabile che il Comune, proprietario di un bene, deleghi tutto, solo in cambio di un abbattimento dei costi di gestione, ad un soggetto terzo privato che di quella struttura può fare in qualche modo quello che vuole. Nelle aree dove non si riscontra un’analoga vitalità di associazioni e società sportive, è evidente però che questo modello è da scartare, perché oneroso.”

Le società sportive con le quali collaborate sono scelte dal comune?
Ballotta: “Alle società sportive lo spazio viene assegnato dal comune. Quando sono state attivate le prime gestioni, tutte le società sportive che in quel momento utilizzavano una piscina pubblica gestita dal comune hanno avuto in gestione l’attività in acqua. A fronte di chiusure e rinunce, ne sono subentrate altre: c’è una vitalità che viene governata dall’ente locale attraverso bandi di assegnazione degli spazi pubblici all’interno delle nostre strutture. La società sportiva deve presentare al comune i propri risultati, il numero dei soci, l’attività che svolge, che tipo di impegno sociale manifesta, a quante federazioni è affiliata, quali sono i risultati agonsitici. In parallelo, al bando di gara per la gestione della struttura, diciamo del “contenitore”, che interessa So.ge.se, sono fissati anche i principi e i criteri attraverso i quali le società acquisiscono o perdono il diritto di avere corsie in uso.”

Come vi regolate con le attività non in vasca?
Ballotta: “Normalmente, le unità di campo (palazzetto, palestra) sono date in canone d’uso a chi è chiamato a gestirle, come la ristorazione e tutti i servizi (bar) che abbiamo esternalizzato. Ad Ozzano, ad esempio, l’affidamento è alla polisportiva Record; a San Lazzaro sono tre le società che insieme gestiscono le attività. Abbiamo la gestione diretta, a corrispettivo, solo della palestra di San Pietro.”

Nell’articolata situazione che avete descritto, come si colloca lo sviluppo delle ATI?
Ballotta: “L’ATI, Associazione temporanea di impresa, diventa il modello per continuare a tutelare il sitema, però in modo più autogovernato: di fronte alla perdita di peso politico dell’ente locale, che non può più permettersi di prendere certe decisioni perché non è più in grado di sostenere finanziariamente il peso delle sue scelte, il tessuto sportivo, per il momento, è talmente interessato a mantenere questo tipo di sistema che trova il modo di autoregolarsi. Così, ci si associa. Quello di Bologna è l’esempio classico. Quando, quasi dieci anni fa, il comune ha deciso di dare in appalto gli impianti condizionando la gestione a un investimento di un mlione e 860 mila euro e passa, i gestori si sono consorziati e all’interno di questa ATI sono entrati i 4 enti di promozione sportiva e le tre società sportive più importanti del territorio. Il modello delle ATI è andato sempre più perfezionandosi come regolamentazione e ha già una sua casistica. Le esperienze nate su questo territorio possono fare scuola”.

Le prime ATI che avete costituito a quando risalgono? Vi siete avvalsi di qualche modello di riferimento?
Ballotta: “La prima è stata quella di Bologna, nel 2003, ora siamo in ATI nella maggioranza dei nostri impianti. Per i modelli, c’era già una giurisprudenza delle ATI – sono tipiche del mondo delle imprese di costruzione – ma nessuna esperienza da utilizzare come riferimento.”

Piscina comunale Cavina di Bologna, 25 metri per 10 corsie con nuova copertura geodetica. Gestita da So.ge.se

In quali aree state investendo energie e risorse?
Ballotta: “Su due fronti: da un lato l’abbattimento dei costi di gestione, sfruttando le nuove tecnologie (fotovolatico, solare termico, cogenerazione… le stiamo sperimentando tutte), dall’altro le strategie per incrementare l’affluenza, come l’implementazione di nuove attività, la ricerca spasmodica di utilizzare tuttti gli spazi possibili e immaginabili, piccole salette, palestrine che una volta non avevano rivelanza ma che adesso vengono utilizzate, ad esempio, per i corsi di yoga e walker (una disciplina che sta proponendosi con un discreto successo). Tutto l’altro comparto – quello della razionalizzazione delle attività del personale, definizione dei costi delle manutenzioni ordinarie e delle attività di pulizia, dell’attività igienico- sanitaria, dei controlli tecnologici – è stato sottoposto a un attentissimo controllo gestionale già negli anni passati, quando questi problemi di natura economico-finanziaria ancora non c’erano.”

E sul fronte della fidelizzazione e del miglioramento del servizio?
Ballotta: “Stiamo introducendo, con risultati per ora a macchia di leopardo, la figura del trainer di vasca. Stiamo lavorando per far diventare quello che prima era semplicemente il bagnino, cioè l’addetto al salvamento con funzioni di ordine pubblico e sicurezza, una figura complessa che sviluppi anche una relazione con i clienti”.
Santi: “Sostanzialmente si tratta di trasferire in piscina la logica della palestra, dove si tende a personalizzare il rapporto. La relazione con il cliente è il 50 per cento del lavoro e, al di là degli aspetti tecnici, rende gradevole il fatto di frequentare una struttura sportiva come una piscina. Stiamo partecipando a una serie di progetti volti a portare più gente in piscina, a convincere quell’80 per cento della popolazione che per ragioni varie – abitudini, cultura, economia, salute – rifiuta di frequentare le strutture sportive. Chi si lascia convincere, o viene coinvolto in una relazione positiva oppure, se trova una situazione anomima, si persuade di aver fatto bene a non aver mai praticato. Quindi diamo una grande importanza a questa nuova figura.”

Tra le nuove tecnologie, qual è quella più conveniente, per il momento?
Ballotta: “Il fotovoltaico, ma solo perché ci sono i contributi. A causa della complessità del modello e delle imposizioni fiscali, attualmente non ci sono energie che siano in grado di produrre abbattimenti significativ i. La cogenerazione, per esempio, da un lato produce, ma poi si devono considerare le imposte e il contratto di gestione per quelli che devono gestire il cogeneratore; e alla fine scopri che risparmi il 10-13 per cento. Molto spesso il risparmio che viene proposto è più teorico che concreto.”

Acqua&Fitness di Ozzano dell’Emilia (BO).
Una vasca coperta da 25 m x 6 corsie, una vasca piccola per bambini e palestra al piano rialzato con centro benessere.

Gestito da So.ge.se

Qual è l’attuale situazione di bilancio di So.ge.se?
Ballotta: “La situazione al momento è questa: abbiamo un andamento di totale pareggio o di leggerissimo utile prima delle imposte, che però diventa una perdita a fronte dei tributi esistenti. Infatti, specialmente da quando è stata introdotta l’IRAP, la difficoltà gestionale è aumentata in termini effettivi. Un’altra cosa che appare assurda – e credo che sia un problema che hanno tutti i gestori – è che l’IRAP sia considerata indetraibile, per cui si paga una tassa sulla tassa. Questo ha creato il primo elemento di difficoltà: quelli che prima erano margini realizzabili e che negli anni ci avevano consentito di avere una capacità finanziaria e anche un patrimonio, adesso si stanno mantenendo costanti negli anni, per cui, in realtà, si stanno “deprimendo” a causa dell’inflazione. Dal punto di vista finanziario, comunque, la nostra situazione non presenta problemi di nessun tipo, ma per investire abbiamo bisogno di ricorrere a forme di prestito esterne, con conseguenti interessi passivi e tutti i vincoli tipici del finanziamento da terzi, mentre prima provvedevamo con risorse proprie.”

Tra i vostri obiettivi per il futuro c’è anche quello di estendere l’attività ad altre aree geografiche?
Ballotta: “Abbiamo una dimensione tipicamente provinciale; a parte diversi abboccamenti, non abbiamo fatto il passo per andare oltre, per andare sul territorio nazionale. Le strutture di cui disponiamo sono più che sufficienti, tendiamo al mantenimento di queste situazione e a governare il patrimonio impiantistico che abbiamo. Nelle ultime gare fatte abbiamo mantenuto gli impianti e sappiamo che dovremo apportare migliorie, quindi investire sia sul piano strutturale sia per facilitare ancora di più l’affluenza; abbiamo ancora una gara di gestione, da qui a breve, poi per i prossimi 6-7 anni non se ne parla. Abbiamo sviluppato anche un servizio di consulenza, ma senza uno specifico obiettivo gestionale, e stiamo affiancando la Federazione Italiana Pesca Spotiva e attività subacquea. Quindi il nostro percorso è già abbastanza delineato. Così come le strategie.”

Che tipo di investimenti sono previsti sulla componente strutturale e impiantistica?
Ballotta
: “Piccole cose si continuano a fare. Nonostante tutto, l’anno scorso abbiamo investito 600.000 euro per interventi di manutenzione straordinaria e rispamio energetico: è il 10% del bilancio, la quota che investiamo mediamente. Ad Ozzano abbiamo introdotto il fotovoltaico e cambiato completamente il reparto macchine della palestra; a Castel San Pietro abbiamo realizzato 300 mq di palestra. Il piano del 2012 sarà uguale. Però sono tutti investimenti tesi a mantenere e consolidare le strutture che abbiamo. Non siamo nelle condizioni di dire "adesso partiamo e realizziamo un impianto con un investimento da 2-3 milioni di euro". Stiamo andando dietro alle esigenze degli enti locali. Quest’anno dovremo investire sugli impianti di Sasso Marconi e Zola predosa.”
Santi: “Abbiamo una serie di proposte per interventi da effettuare con investimenti da parte nostra e non solo, ma per sostenere degli investimenti occorrrono periodi molto lunghi di gestione: il credito e gli enti di controllo richiedono vent’anni, come minimo dieci, a seconda dell’investimento. Quindi sono scelte che investono anche la la sede politico- aministrativa. La nostra disponibilità c’è, e anche quella del credito che nei nostri confronti è in controtendenza rispetto all’andamento generale, ma gli elementi che compongono il quadro sono diversi e nessuno di questi è in mano nostra, se non la volontà di farlo.”

Come valutate la situazione degli impianti sportivi a Bologna?
Santi: “Per mancanza di risorse, la situazione è ferma da parecchio tempo. Credo che l’ultimo impianto sportivo nato a Bologna sia un complesso polivalente che abbiamo realizzato in ATI. C’è una certa problematicità a livello anche di manutenzione straodinaria, di adeguamento tecnico-strutturale e normativo. Quello delle normative sulla sicurezza, che si traducono in rischi e resposabilità e determinano costi ulteriori, è uno dei temi che sta affrontando l’amministrazione di Bologna. Mi risulta che ci sia un piano di investimenti di un milione di euro, ma non so che fine abbia fatto. Le strutture sportive, quelle di uso quotidiano, sono in forte sofferenza; sul fronte natatorio non c’è assolutamemte niente di nuovo. Questo è, in estrema sintesi, il quadro della situazione”.

 
 
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