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09.05.2012

Impianti natatori: rischi e consigli per chi li gestisce

intervista a Paolo Smania, tecnico ASL, a cura di Alice Spiga

Categorie: piscine, gestione piscine, impianti sportivi

Gestire gli impianti natatori italiani diventa ogni giorno più complesso. La maggior parte delle strutture presenta spazi inadeguati all'utenza, impianti tecnologici non più funzionali o inadatti alle esigenze odierne di risparmio idrico ed energetico. E i costi livietano, diventando ogni giorno meno sostenibili.

Ma... quanto può costare un impianto natatorio obsoleto privo di una corretta manutenzione? E quali sono i rischi a cui i gestori e i proprietari di piscine pubbliche possono andare incontro a causa di strutture e attrezzature non più adeguate, quando non a norma?

A queste e ad altre domande risponde Paolo Smania, tecnico ASL con ruolo di vigilanza e ispezione negli impianti natatori. In questa intervista, entra nel merito dello stato degli impianti natatori in Italia, delle criticità che ha riscontrato nella sua esperienza professionale, delle problematiche che i gestori di queste strutture si trovano ad affrontare ogni giorno e dei rischi in cui potrebbero incorrere a causa di un equilibrio in bilancio che tende a penalizzare le operazioni di manutenzione.

Per approfondire l'argomento, si segnala che questa intervista è parte integrante di un articolo completo sulla ristrutturazione delle piscine in Italia, pubblicato nel numero 8 di Sport Industry Magazine. Vuoi ricevere gratuitamente la rivista? Registrati al Portale www.sportindustry.com.

L'intervista

Come si presenta il panorama degli impianti natatori in Italia?
Svolgendo il ruolo di vigilanza e ispezione sugli impianti natatori, e confrontandomi con i colleghi di altre Regioni, ci ritroviamo di fronte a situazioni fortemente critiche. Ad esempio, locali del tutto privi di areazione naturale o con impianti di aerazione meccanica senza manutenzione. Vedere degli impianti di areazione anneriti significa una cosa sola: che non sono mai stati puliti, ed è un indicatore forte della scarsa attenzione da parte di chi gestisce l’impianto a questo profilo di tutela.

In altri casi, ci siamo trovati di fronte a piscine prive di vasca di compenso, che è quella parte dell’impianto che permette il recupero dell’acqua e non lo smaltimento diretto in fognatura. Oppure, tubazioni obsolete che presentano perdite e quindi finiscono per contribuire in maniera determinante a un maggior dispendio idrico ed energetico. O ancora situazioni in cui le strutture hanno persino parti murarie con l’intonaco che si sgretola.

Senza contare le piscine che, non avendo un ricircolo dell’aria corretto, hanno problemi di umidità e muffa, incidendo in modo determinante sul microclima interno. Il problema principale è che, in un gioco di equilibrio di bilancio dove si tende a effettuare qualsiasi forma di risparmio, si tende a tagliare sui costi della manutenzione. È interessante vedere quanti gestori affidino ad agenzie serie questo tipo di incarico, quanti invece lo facciano in proprio o addirittura non lo eseguano per niente.

Si può quantificare quanto viene sprecato a causa di impianti che necessitano di riqualificazione/ristrutturazione?
La sua domanda è molto interessante, poiché pone in evidenza un elemento di forte criticità dell’attuale patrimonio edilizio, che concerne non solo il mondo delle piscine. Moltissimi impianti sono stati realizzati in un periodo di floridità e di espansione economica, nel quale non vi era alcuna filosofia connessa al risparmio energetico e all’ottimizzazione delle risorse impiegate. Oggi queste strutture vivono ‘momenti di passione’ in virtù del maggior costo delle risorse energetiche, che comporta difficoltà nel raggiungimento dell’equilibrio di bilancio.

Premesso questo, e seppur complicato formulare una stima precisa degli sprechi, poiché questi devono essere riferiti a moltissimi elementi (quali ad esempio il riscaldamento dell’ambiente e dell’acqua in vasca, ai sistemi per la disinfezione, agli impianti di condizionamento dell’aria e così via), ritengo che una piscina con impianti vetusti, priva di una adeguata manutenzione, possa sprecare circa il 30 % delle risorse rispetto a un impianto mantenuto a regola dell’arte.”

Esistono rischi concreti per i gestori/proprietari di incorrere in sanzioni, multe o peggio ancora nella chiusura dell’impianto a causa di strutture che necessitano di interventi di ristrutturazione?
Una struttura priva di adeguata manutenzione, oppure peggio, non conforme alle vigenti norme in materia di sicurezza e di igiene, potrebbe certamente essere oggetto di un provvedimento di chiusura temporanea, nonché di ordinanza per il relativo ripristino, con evidenti danni economici e di immagine per il gestore.

E di casi di chiusura ce ne sono tanti, anche se spesso l'utenza non ne viene a conoscenza. Un sistema che utilizzano gli anglosassoni è di porre in evidenza al cittadino quando un impianto non funziona come dovrebbe, mentre il sistema italiano è di ricorrere a sanzioni amministrative mantenendo il più possibile all'oscuro la popolazione sulle problematiche presenti in quell’impianto.

Quanto tempo ha il gestore, normalmente, per mettersi in regola?
Prima di tutto ci tengo a precisare che la normativa non prevede deroghe. Per quanto concerne il discorso attività ispettiva, l’ASL è tenuta a fare dei controlli qualità e darne comunicazione al sindaco, perché il sindaco è l’autorità sanitaria locale e quindi dispone lui gli interventi da fare. A seconda dei casi, potrebbe essere il soggetto sindaco a emanare un’ordinanza nei confronti del titolare dell’impianto, prevedendo una tempistica entro la quale il gestore o il titolare debba mettere a norma l’impianto.

Per evitare di arrivare a questo punto, come conviene muoversi?
In sintesi, bisogna agire sulla cultura della prevenzione per tutti, per i controllori e per i controllati, quindi l’intero sistema deve essere conscio dei rischi associati, in questo caso, all’impianto natatorio. Quali sono le tipologie di rischi? Da un lato, quelli legati alla salute, di contrarre malattie infettive, che coinvolgono la qualità dell’acqua condotta in vasca e la qualità degli impianti di areazione e idrici, dai quali si può contrarre un’altra malattia, che è la Legionella, anche se l’incidenza dei casi in piscina è relativamente bassa.

Dal punto di vista dell’infortunistica, va valutato tutto l’insieme dell’impianto natatorio, quindi ingresso, spogliatoi, vasca ed elementi costruttivi. Ad esempio, abbiamo trovato delle piscine che avevano un corridoio di accesso dallo spogliatoio alla vasca con una pendenza superiore alla norma e con materiali che, peraltro, favorivano lo scivolamento. In una situazione simile, con ciabatte bagnate su pavimento umido, è un attimo scivolare. E queste sono tutte creature di culture datate, di fine anni 70, dove c’era un altro tipo di attenzione, dove si badava meno a questo tipo di precauzioni.

Si pensi che alcune piscine, di dimensioni non più adeguate, non riescono a svolgere tutte le attività che vorrebbero a bordo vasca, con il risultato che, a volte, finiscono per togliere gli strumenti atti al salvamento, come i salvagente che invece sono previsti da normativa, per posizionare ad esempio le cyclette a bordo vasca. Stesso discorso vale per il locale infermeria, anch’esso obbligatorio. Per legge dovrebbe essere capiente e accessibile, dotato di tutti gli strumenti del primo soccorso, ma non sempre c’è lo spazio sufficiente, e quindi si tende a glissare. E tutto questo va a discapito non solo degli utenti, ma anche dei lavoratori. Si prenda il caso recente del calciatore che è morto sul campo, sono casi che capitano talmente di rado che quindi si finisce per trascurare le basi stesse della prevenzione e della tutela.

Un altro esempio riguarda l'accessibilità delle strutture ai disabili. Solo per fare un esempio: la maggior parte degli impianti natatori italiani non sono dotati di strumenti per il sollevamento dei disabili, con il risultato che ancora oggi queste operazioni vengono svolte a braccia, con rischi evidenti sia per chi viene posizionato in acqua sia per chi svolge il lavoro.

Quando si parla di manutenzione delle piscine; quali sono (in sintesi) gli elementi a cui prestare particolare attenzione?
Gli elementi da considerare sono disparati e chiamano in causa, innanzitutto, la qualità dell’acqua, per la quale esistono specifici parametri da rispettare stabiliti dall'Accordo Stato Regioni del 2003 ed evidenziati da specifici test di laboratorio che rilevano la carica batterica presente nell'acqua della piscina (mentre per quanto riguarda i requisiti strutturali, bisogna fare riferimento all 'Accordo Stato Regioni del 1992).

L'altro elemento è lo stato di pulizia degli ambienti , visibile già a colpo d'occhio; accedendo a un impianto natatorio, se la vaschetta lavapiedi, che dovrebbe essere un passaggio obbligato per l’utente prima di entrare in vasca, si presenta asciutta o con livelli d’acqua insufficienti, è già un indicatore che denota una scarsa attenzione da parte di chi gestisce l’impianto. E poi verificare periodicamente lo stato dei materiali, quindi se presentano rottura o segni di usura e intervenire tempestivamente.

Mentre invece l’unico modo di verificare che il gestore si occupi della sanificazione delle pareti, delle pavimentazioni e degli altri locali, come gli spogliatoi, è l’accertamento della presenza di un protocollo di sanificazione, una sorta di HCCP come per gli alimenti: un piano di autocontrollo nel quale si possa capire cosa stia effettivamente facendo il gestore per la cura e la manutenzione ordinaria. Poi ovviamente non basta la carta, ma bisogna accertarsi che siano operazioni che vengono svolte di frequente oppure solo una forma scritta che rimane lì in attesa che qualcuno le metta in pratica.

Visto da vicino

Paolo Smania

Dottore in Tecniche della Prevenzione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro, è funzionario dell’ASL TO3 di Collegno, Torino - Servizio Igiene e Sanità Pubblica, dove svolge, tra le altre, attività di vigilanza e ispezione sugli impianti natatori. È segretario nazionale dell’associazione UNPISI (Unione Nazionale Personale Ispettivo Sanitario d’Italia) e tutor professionale presso il corso di laurea in tecniche della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro presso l’Università degli studi di Torino. È infine tra i promotori della neonata Associazione di Promozione Sociale A.L.I. , Aggregazione Lavoro Innovazione.

 
 
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