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07.01.2014

Prestazioni sportive dilettantistiche: l’orientamento della magistratura

L'avv. Guido Martinelli fa il punto della situazione in materia di compensi per l’attività sportiva dilettantistica e il loro assoggettamento a contribuzione assicurativa e previdenziale

Categorie: sport, sport news, attività sportiva, norme e leggi,

di avvocato Guido Martinelli

Dopo una lunga giurisprudenza ondivaga e poco convincente, nelle decisioni sia favorevoli sia contrarie, all'assoggettamento a contribuzione assicurativa e previdenziale in materia di compensi per esercizio diretto di attività dilettantistica e per collaborazione amministrativo-gestionale in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, credo che sia giunto il momento, alla luce anche dei contenuti di 4 recenti decisioni, di fare il punto su questa materia, in attesa dei pronunciamenti della Suprema Corte di Cassazione presso la quale pendono una serie di ricorsi.

Le sentenze sono state emesse tra giugno e agosto 2013 dal Tribunale di Firenze e da quello di Roma e due decisioni dal Tribunale di Milano. (I commenti puntuali alle sentenze si possono leggere nell’articolo pubblicato integralmente ne Il Nuovo Club n° 136, novembre-dicembre 2013, ndr).

La norma e le sue interpretazioni iniziali

Sappiamo che la norma in discussione, l’art. 67 primo comma lett. m) del Tuir, ai fini della sua applicabilità, ha due presupposti, uno oggettivo e uno soggettivo. Il primo punto, ormai certo, è che per “attività sportiva dilettantistica” si debba e si possa intendere qualsiasi tipo di attività motoria, pur se “slegata” da ogni finalità a carattere competitivo o agonistico.

Il secondo è che il soggetto erogatore sia una società o associazione sportiva dilettantistica, anche qui con il possesso dei tre requisiti cardine:

  1. costituzione ai sensi di quanto previsto dall’art. 90 legge 289/02;
  2. affiliazione a una Federazione sportiva nazionale, ente di promozione sportiva o disciplina sportiva associata;
  3. iscrizione al registro Coni – caratteristica mai stata in discussione;
  4. che il soggetto ricevente sia uno “sportivo dilettante”.

Quest’ultimo aspetto è stato quello che, fino ad ora, ha dato origine a quasi tutti i ricorsi. Le posizioni iniziali apparivano quasi irremovibili.

Da una parte, il mondo dello sport e i suoi consulenti, che ritenevano che chiunque fosse in attività per un sodalizio dilettantistico potesse percepire i compensi di cui all’art. 67 Tuir (e, quindi, senza addebito di oneri previdenziali).

Dall'altro lato: l’allora Enpals, che negava l’applicabilità, in una prima fase a tutti coloro i quali non erano preposti a una attività agonistica e, successivamente, a coloro i quali svolgessero professionalmente tale attività.
 

La situazione attuale

Ora il quadro giurisprudenziale si è delineato in maniera netta in favore della tesi dell’ente previdenziale. Va evidenziato che in tutte le decisioni citate non viene contestata la natura di società sportiva dilettantistica della ricorrente o l'oggetto della prestazione, ma viene negato: "il carattere sportivo dilettantistico della prestazione dei lavoratori oggetto della pretesa azionata, assumendone al contrario la natura professionale".

Va anche ricordato che i contenziosi cui si fa riferimento sono tutti contenziosi da centinaia di migliaia di euro. Ossia contenziosi al cui esito è legato il destino di una società sportiva.

Era chiaro che un orientamento teso a “professionalizzare” sempre di più l’attività delle palestre chiedendo agli istruttori sempre maggiore impegno, in termini sia di orario sia di competenze, andasse a incidere sull’oggetto della prestazione.

Ormai è acquisito il principio che nei nostri centri possano convivere sia operatori che svolgono tale attività per “diletto”, ossia disponendo di altra e diversa attività lavorativa che garantisce loro la principale fonte di sostentamento, e operatori che, invece, operano professionalmente in settori di sport ancora formalmente dilettantistici, dove tale termine significa solo che non si applica la legge 91/81 sul professionismo sportivo.

Chi scrive è perfettamente consapevole delle conseguenze che il citato orientamento giurisprudenziale potrà avere per il mondo sportivo e della insopportabilità dei costi relativi in un momento di crisi economica come quello attuale.

Sarebbe stato sufficiente tornare alla disciplina in vigore negli anni '90 per la quale tutti gli sportivi, superata una certa fascia di reddito, erano considerati ex lege collaboratori coordinati e continuativi. Probabilmente si poteva evitare che fosse la Magistratura a fare questa scelta.

Inascoltati sono stati i vari appelli di chi, come chi scrive, si era raccomandato affinché venisse trovata una soluzione legislativa di compromesso. Affrontare il problema sarebbe importante prima che la Suprema Corte di Cassazione, con una propria decisione, metta la parola fine alla querelle in corso.

Per approfondire

La versione integrale di questo articolo, con il commento puntuale alle quattro sentenze, è pubblicata ne Il Nuovo Club n° 136, novembre-dicembre 2013.

Foto da Freeimages.com

 
 
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