Avvocato Guido Martinelli

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07.07.2015

Jobs Act_le novità per il settore dello sport

Un decreto che, come sostiene l'avvocato Guido Martinelli, sembra non tenere conto delle realtà che operano nel terzo settore

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a cura della redazione di Sport Industry

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto applicativo del Jobs Act, che rielabora e rivede la disciplina organica dei contratti di lavoro.

Un decreto che, come sostiene l'avvocato Guido Martinelli: «Sembra non tenere conto delle realtà che operano nel terzo settore e della gestione delle risorse umane che prestano nei loro confronti la loro attività, e che andrà a modificare inevitabilmente i rapporti di lavori che da sempre hanno regolato questo settore».

Vediamo da vicino che cosa cambia e per quale motivo il Jobs Act non sembra venire in aiuto delle associazioni che lavorano nel settore sportivo.

1) "Il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro", articolo 1, comma 7, lettera b)

Fermo restando la buona volontà di questo assunto, che mira a promuovere contratti di lavoro stabili, rendendo l'indeterminato più conveniente in termini di oneri diretti e indiretti, non tiene però conto che le associazioni sportive si avvalgono da sempre di forme di contratto “semigratuito”.

Per queste ultime, asserisce l'avv. Martinelli: «il ricorso forzato al lavoro subordinato, ribadito quale “forma comune di rapporto di lavoro” appare scelta non solo antieconomica ma, spesso, non corrispondente alle effettive modalità di svolgimento della prestazione».

Pensiamo, per esempio, a chi gestisce i punti di ristoro all’interno dei circoli ricreativi, oppure agli animatori culturali, ai collaboratori tecnici, ai docenti di corsi che, magari per poche ore alla settimana, prestano la loro attività in favore di enti non profit.

«La scomparsa della possibilità di stipulare accordi di associazioni in partecipazione con apporto di solo lavoro, il venir meno dei contratti a progetto e la previsione che si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato per quelle collaborazioni “che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro” (articolo 2, comma 1) rende estremamente difficoltoso inquadrare correttamente tutte quelle attività».
 

2) La soluzione? Il lavoro accessorio, come previsto dall'articolo 48 del Jobs Act, peccato che...

Già, il lavoro accessorio. C'è solo un piccolo difetto: che lavoro accessorio ha visto incrementare il suo massimale a 7.000 euro l’anno, ma rimane a 2.000 euro il limite per i “committenti imprenditori”.

E qui sorgono altri dubbi: chi definisce se un'associazione è un "committente imprenditore"? E ancora: chi definisce che cosa possa essere inquadrata come "prestazione accessoria"?

«Un'associazione che gestisce una scuola musicale aperta al pubblico è un "committente imprenditore"? Si può parlare di prestazione accessoria per un docente, magari di Conservatorio, che si presta a collaborare con l’associazione?» Si chiede, e al contempo domanda, l'avv. Martinelli.
  

3) Le deroghe all'articolo 2, comma 2: più confusione che chiarezza

Di grande interesse, da un punto di vista "sportivo", è la lettura delle deroghe contenute all'articolo 2, comma 2. In pratica, vengono sanciti quattro casi in cui è possibile applicare alle collaborazioni il rapporto di lavoro subordinato.

In particolare, al nostro settore interessano soprattutto la seconda, che riguarda le prestazioni intellettuali per le quali sia necessaria “l’iscrizione in appositi albi professionali” e non è chiaro a quali albi si faccia riferimento.

E l'ultima deroga, quella che si riferisce alle: “collaborazioni rese ai fini istituzionali in favore delle società e associazioni sportive dilettantistiche (...) come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002 n. 289”.

«Ora, di certo va salutato con favore l’avvenuto riconoscimento (o, meglio, vorremmo dire la conferma) della specificità del lavoro sportivo. Però resta comunque irrisolta la domanda di fondo, che è poi quella di maggior interesse per il mondo dello sport.

Questo rapporto tipizzato è da ricondursi a quelli di cui all’art. 67 primo comma del Tuir, come tali non soggetti a contribuzione previdenziale, o a quelli di cui all’art. 50 del tuir (reddito parificato a quello subordinato, previsto per gli altri tipi di collaborazione elencati nello stesso comma del provvedimento in esame)?»

Sarebbe bello se arrivassero dei chiarimenti, anche se è ormai evidente che, con la pubblicazione di questo testo, il Governo si sia lasciato scappare l'occasione di riformare il terzo settore e le regole che lo governano.

Per approfondire

Leggi anche l'articolo dell'avvocato Guido Martinelli pubblicato su ecnews.com: Il Jobs Act non risponde alle esigenze del terzo settore

 
 
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