Norme e leggi per l'impiantistica sportiva

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03.02.2014

La nuova legge sugli stadi

Il parere dell'avvocato Guido Martinelli sulla ribattezzata "Legge sugli Stadi"

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di avvocato Guido Martinelli

La redazione di Sport Industry mi ha chiesto un commento alla nuova "legge sugli stadi". In realtà, più che di una nuova legge si dovrebbe parlare di tre commi, inseriti all'interno della c.d. legge di stabilità, la Legge 147/2013.

Una lettura attenta dei commi 303-305 dell’unico articolo di cui si compone la legge ci svelerà, inoltre, come le nuove disposizioni siano rivolte agli impianti sportivi di piccole e medie dimensioni.

L’intervento normativo si pone l’obiettivo di semplificare la procedura per la costruzione e ristrutturazione di impianti sportivi rendendo così i tempi di realizzazione ragionevolmente più brevi e certi.

Che cosa prevede la nuova procedura?

La nuova procedura si pone come una deroga a quanto disposto dal D.lgs.163/2006 (codice dei contratti pubblici) in materia di partenariato pubblico privato, e di finanza di progetto in particolare, le cui previsioni sono ritenute esplicitamente applicabili in quanto compatibili.

Anziché inerire delle deroghe puntuali alla procedura ordinaria, in termini di tempistica e modalità, il nostro legislatore continua a preferire l’introduzione di nuove procedure che per la loro sinteticità non potranno che rifarsi, però, alla disciplina ordinaria.

Solo la concreta applicazione potrà dirci se questa assenza di coordinamento tra le norme comporterà delle criticità nonostante si sia già previsto che “resta salvo il regime di maggiore semplificazione previsto dalla normativa vigente in relazione alla tipologia o dimensione dello specifico intervento promosso”.

Quindi disciplina che interviene, da un lato, alleggerendo gli oneri amministrativi necessari a ottenere le autorizzazioni necessari a realizzare l'impianto, dall'altro rinforza le dotazioni dell'istituto per il credito sportivo al fine di facilitare il ricorso a questo istituto di diritto pubblico, preposto al credito agevolato per l'impiantistica sportiva e culturale, dall'altro ancora autorizza "parziali" compensazioni all'investimento per le attività sportive con concessioni urbanistiche.

Ma non vorrei addentrarmi in considerazioni meramente procedurali analizzando le modifiche o le deroghe previste al vigente codice degli appalti, preferendo tentare di dare un giudizio sui possibili effetti e conseguenze di questa nuova disciplina.

L'impiantistica di base: esclusa sa ogni beneficio

Intanto si parla di impianti sportivi e non di palestre. La differenza, è evidente, non è trascurabile. Stiamo parlando, quindi, di realtà che prevedano: "impianti omologati per un numero di posti pari o superiore a 500 al coperto o a 2.000 allo scoperto".

Pertanto tutta l'impiantistica di base, su cui si fonda la gran parte della pratica sportiva italiana, è esclusa da qualsiasi tipo di beneficio. Da questo punto di vista, pertanto, si dovrà continuare a fare affidamento all'iniziativa privata "non agevolata" o all'intervento pubblico.

Consentitemi, allora, di fare una prima considerazione. Per quale motivo un privato dovrebbe realizzare una palestra se, poi, non potrà trarre da questo investimento, alcun tipo di ritorno?

Infatti ove il soggetto interessato all'intervento fosse un'associazione o società sportiva dilettantistica non potrà, in alcun modo, monetizzare l'investimento per il noto imperativo dell'assenza di scopo di lucro diretto o indiretto. Ben sappiamo che qualche realtà ancora esiste, ma numericamente insufficiente ad integrare e sostituire il vetusto panorama dell'impiantistica sportiva italiana.

Chi potrebbe mai investire sugli impianti sportivi?

Se fosse un'impresa che avesse intenzione di gestirlo in maniera imprenditoriale (ossia senza poter utilizzare le agevolazioni previste per le sportive) rischierebbe di rimanere "fuori mercato" trovandosi a dover concorrere con soggetti che utilizzano una fiscalità di vantaggio.

Se fosse un'impresa che affittasse la struttura a una associazione remunerando l'investimento con il corrispettivo della locazione, potrebbe trovarsi di fronte a un'azione della Agenzia delle Entrate (come è accaduto in numerosi circoli golf, ad esempio, di recente) che ritenga il comportamento come interposizione fittizia di persona e, pertanto, con finalità elusiva.

Ne deriva che, a questo punto, l'unica aspettativa, al momento concreta, per il rinnovo o l'integrazione dell'impiantistica di base non potrà che essere riposta nell'intervento del pubblico.

Ma, a questo punto, torniamo agli effetti della legge. Lasciamo a parte i grandi impianti per il calcio, potenzialmente unici veri destinatari del provvedimento, come vedremo.

Assodato che nessuno mai farà un investimento in perdita, è realistico ipotizzare che un privato possa realizzare una piscina o un palazzetto dello sport (con almeno 500 posti a sedere - pertanto con una logica atta ad ospitare eventi sportivi di livello che giustifichino l'ampiezza e i costi collegati alle spese di manutenzione e riscaldamento e con una spesa che, contati male, non si collocherà mai sotto il milione di euro) utilizzando la copertura finanziaria (ricordiamoci che trattasi comunque di mutui da restituire e non di contributi a fondo perduto) e le procedure agevolate previste dal dispositivo in esame?

Ci si chiede se mai si sia esaminato un business plan di gestione di un impianto.

Quindi, la legge favorisce chi?

L'amara conclusione che se ne trae è una sola. Anche questa volta si è legiferato per il calcio e avendo il calcio come sollecitatore.

Abbiamo già visto il periodo dell'ingresso in borsa delle società di calcio. Sembrava che l'ottenimento di questo traguardo avrebbe salvato questo sport in Italia. Così non è stato o, comunque, solo poche società hanno utilizzato questa possibilità.

Ora siamo al momento degli stadi. Ci hanno detto che solo arrivando a stadi di proprietà si sarebbe risolto il problema dell'attività di vertice di questo sport. Ora hanno ottenuto questa possibilità. Si risolveranno così i problemi del calcio? L'esempio della stadio di Reggio Emilia, a suo tempo primo stadio privato di una società di calcio, non costituisce un buon precedente.
 

Per approfondire

L'intervento dell'avv. Guido Martinelli qui riportato è parte integrante di un articolo più ampio pubblicato a pagina 8 di Sport Industry Magazine 15, gennaio-marzo 2015.

 
 
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