Architetto Pino Zoppini

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05.02.2014

La chiamavano Legge Stadi

Intervista all'arch. Pino Zoppini sulla erroneamente ribattezzata Legge sugli Stadi

Categorie: sport, sport news, impianti sportivi, norme e leggi, stadi e arene,

Intervista di Alice Spiga ad Arch. Pino Zoppini

Si è dedicato agli impianti sportivi con grande passione e professionalità per tutta la vita, lavorando come architetto progettista in tutto il mondo e come editore. L'architetto Pino Zoppini oggi è uno dei professionisti più affermati e conosciuti in questo settore, e i suoi impianti hanno vinto riconoscimenti e premi internazionali.

Di recente, lo abbiamo coinvolto con l'intenzione di fare chiarezza sulla tanto chiaccherata, ed erronamente denominata, Legge sugli Stadi. Il risultato è questa intervista, nella quale l'architetto ripercorre la situazione degli impianti sportivi e degli stadi in Italia, paragonandola con quella all'estero, offrendo spunti, aneddoti e consigli su come gli stadi dovrebbero essere progettati e gestiti.

Un'intervista che rivela i punti critici dell'impiantistica sportiva italiana e i fattori su cui si dovrebbe lavorare per poter finalmente contare su "stadi sostenibili”, ovvero: "in equilibrio tra sostenibilità ambientale, sostenibilità economica e sostenibilità, soprattutto, sociale per una comunità a cui lo stadio è destinato".

L'intervista all'architetto Pino Zoppini
            
1) L’emendamento sugli impianti sportivi, e conseguentemente sugli stadi, è stato alfine inserito nella Legge di Stabilità, che cosa prevede? Viene in aiuto del settore o in sostanza non cambia nulla?

"Pareri contrastanti di fronte a questa legge, tra chi positivamente la vede come un mancato pericolo contro una possibile nuova occasione di speculazione edilizia e chi, ad incominciare dalla Lega Calcio, la valuta limitata e insufficiente a risolvere la concreta realtà degli stadi italiani.

È sicuramente un dato positivo la semplificazione e agevolazione delle pratiche e degli interventi che l’emendamento prevede: tutti noi sappiamo quanto tempo sia necessario per l’approvazione dei progetti e per portarli in cantiere, e non solo per impianti sportivi, ma per tutti gli impianti pubblici.

Purtroppo, parallelamente, va puntualizzato come nella legge non esista, da parte dello Stato, alcun supporto economico agli interventi, conseguenti all’attuale ben nota realtà economica italiana, rendendo il discorso di difficile praticabilità".
         

2) Parlando di investimenti a favore dello sport, quanto è diversa la situazione in Italia rispetto ad altri paesi esteri?

"Basterà ricordare alcuni esempi di come si è intervenuto all’estero, per capire quanto sia diversa la situazione in confronto all'Italia.

In Inghilterra, negli anni 90, per il programma stadi era stato previsto un intervento statale che devolveva, da fondi legati al prelievo fiscale delle scommesse, risorse molto significative.

In Germania, in occasione dei Campionati Mondiali di calcio del 2006, gli enti pubblici erano intervenuti con una cifra che corrispondeva a circa 1/3 della somma (1500 milioni) necessaria per risistemare, ristrutturare o costruire gli stadi più importanti.

In Francia, per gli Europei che si svolgeranno tra due anni, il 50% della somma è stata coperta con interventi pubblici nella prospettiva dei ritorni previsti che non riguardano solo le società calcistiche e sportive ma tutta la comunità: nuovi posti di lavoro, servizi accessori e tutto l’indotto che si crea attorno a questi grandi eventi.

Si potrebbe obiettare che erano “altri tempi”. Ma se mettiamo a confronto questi interventi con quello che si poteva e non si è fatto in Italia negli ultimi 20 anni, è evidente quanto scarse siano sempre state le scelte politiche e l’attenzione rivolta al settore dello sport.

Si pensi che per lo sport non è stato purtroppo mai varato un programma organico, a differenza di quanto avvenuto nelle altre nazioni middle-europee con leggi e importanti risorse economiche per l’impiantistica sportiva".
   

3) E l'esempio dello stadio della Juventus?

"Lo stadio della Juventus, nel primo anno di apertura, era riuscito a triplicare i ricavi (da 11.5 ai 32 milioni) con una affluenza media passata a 38.000 spettatori rispetto ai 22.000 dello stadio Olimpico (oggi gestito dalla squadra del Torino) e con un incremento del 30% degli abbonati.

Solo che, senza una base economica di supporto, l’esempio dello stadio della Juventus è difficilmente replicabile in Italia. Senza contare che, purtroppo, in Italia le squadre di calcio di serie A e B affidano il proprio futuro soprattutto agli introiti dei diritti televisivi, che rappresentano percentuali nei bilanci societari ben maggiori rispetto al resto di Europa e quindi ci si domanda realisticamente cosa succederebbe se questi introiti in futuro tendessero a calare.

Forse è giunto il momento che anche i Presidenti di società calcistiche realisticamente approfondiscano nuove soluzioni nella ricerca di azioni comuni tra pubblico e privato e si convincano come da un punto di vista imprenditoriale uno stadio di proprietà sia, alla fine, un affare.

In questo senso, è interessante l’esempio del famoso Emirates Stadium dell’Arsenal, che è stato realizzato con gli utili conseguenti alla vendita collegata e massiccia di edifici residenziali e commerciali; rispetto al vecchio stadio si è incrementata del 40% l’affluenza media degli spettatori da 38 a 60 mila, con il raddoppio del giro di affari".
    

4) Quali obiettivi ci si deve dunque porre per ribaltare la realtà dei nostri stadi vecchi, poco ospitali e per questo troppo spesso vuoti?

"La gestione è il primo problema che emerge per un impianto polifunzionale. Ecco perché nella programmazione di un nuovo stadio o nella ristrutturazione di uno esistente, il progetto gestionale viene prima del progetto architettonico.

La sicurezza è un altro tema emergente. Viene da piangere quando alla televisione si vedono partite in Inghilterra, Spagna ecc. con un pubblico ordinato, seduto a livello del campo senza recinzioni sotto l’occhio attento degli stewards , mentre da noi barriere fisse separano le tifoserie e gli ultra delle due squadre in campo.

I nostri stadi devono quindi innanzitutto configurarsi come poli della città dove si va non solo per qualche ora la domenica, ma per incontrarsi durante tutta la settimana, sempre che esistano quelle componenti attrattive e opportunità che sono normalità ovunque tranne che in Italia.

Nella stragrande maggioranza delle città italiane, questo non succede. Prima di tutto perché attorno allo stadio non c’è nulla che richiami al di fuori del singolo evento sportivo e poi perché gli stadi sono quasi tutti collocati in aree e in posizioni che non riflettono più la mobilità e l’accessibilità che questi luoghi invece dovrebbero avere.

Paragono spesso gli stadi alle auto; quando uno stadio non supera più il "tagliando gestionale", è venuto il momento di valutare se convenga procedere a una drastica e, di conseguenza, costosa riqualificazione o se non sia il caso di "abbandonare" l'impianto.

Esattamente come è accaduto al Madison Square Garden di New York. Ricordo che la prima volta che lo visitai, negli anni '60, alle 7 del mattino c’era il breakfast politico, poi alle 10 smontavano i tavoli, lasciavano la pista in cemento e arrivavano gli skaters, alle 17 posavano il campo da basket per ospitare partite universitarie o dell’NBA. Da allora, per poter garantire questa tipologia di polivalenza, la struttura è stata demolita e ricostruita tre volte e oggi è un punto di riferimento conosciuto in tutto il mondo.

In sintesi, l’obiettivo finale che ci si deve porre è: programmare stadi sostenibili , alla ricerca di un equilibrio tra sostenibilità ambientale, sostenibilità economica e soprattutto sostenibilità sociale per una comunità a cui lo stadio è destinato".
     

Per approfondire

L'intervista qui riportata è parte integrante di un articolo più ampio pubblicato a pagina 8 di Sport Industry Magazine 15, gennaio-marzo 2015.

 
 
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